Martino Martini |
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Martino Martini (in cinese: 卫匡国; cinese tradizionale: 衛匡國; pinyin: Wèi Kuāngguó) (20 September 1614 – 6 June 1661) missionario gesuita, storico e cartografo.
Martino Martini è nato a Trento, una città di provincia che aveva perduto gli antichi fasti del periodo del Concilio, ma che ancora conservava una sua vivacità. Martini aveva potuto studiare al Collegio dei gesuiti, una delle più prestigiose istituzioni culturali di Trento.
A 18 anni si trasferì a Roma per continuare il percorso nella Compagnia di Gesù presso il Collegio romano: nel 1642, all’età di soli 28 anni, partiva per la Cina. Martini entrava così a far parte della seconda generazione dei missionari gesuiti dopo i pionieri Francesco Saverio, Matteo Ricci e Michele Ruggeri, partiti alla volta delle Indie Orientali per motivi di fede ma anche di ricerca culturale.
I gesuiti capirono ben presto che bisognava entrare nella mentalità cinese, comprendendo costumi e simbolismi molto lontani da quelli della tradizione europea. Occorreva imparare a stimare e a conoscere una civiltà millenaria.
Nel suo primo periodo di permanenza in Cina (1643-1651) Martini aveva come base la città costiera di Hangzhou, centro della missione dei gesuiti, ma girò per varie province sia per compiti pastorali sia per la sua attività scientifica, necessaria per la futura compilazione dell’Atlante.
Egli riuscì a districarsi in un delicatissimo periodo storico quello della “guerra tartarica” cioè del conflitto dinastico che portò alla fine della dinastia Ming, scalzata alla guida dell’impero dalla dinastia Qing proveniente dalla Manciuria.
Wei Kuangguo, il nome cinese con cui era conosciuto il missionario trentino, non fu solo geografo, ma anche storico, linguista, erudito. Martini, con la sua eloquenza e capacità, venne notato dalla Compagnia di Gesù che lo richiamò dalla Cina per recarsi a Roma per “difendere” davanti a una commissione voluta dal Papa l’approccio missionario dei gesuiti, che prevedeva apertura e tolleranza per quelli che erano chiamati “riti cinesi”. Erano soprattutto i domenicani a scagliarsi contro i gesuiti, a loro avviso rei di cedere alla superstizione e di tollerare la tradizione pagana legata a Confucio. Martini dunque doveva andare a Roma per chiarire la situazione.
Dopo un viaggio convulso durato due anni e una lunga permanenza nelle Fiandre, Martini stava per scendere in Italia: dal nord Europa occorreva assolutamente attraversare le Alpi. Così, nell’estate 1654, lo immaginiamo arrivare a Trento, governata allora dal Principe Vescovo Carlo Emanuele Madruzzo, ultimo rampollo di una dinastia che ha rappresentato l’epilogo della stagione più florida per la città, incominciata più di un secolo prima da Bernardo Clesio. Arrivava a Trento magari con una chiatta sull’Adige attraccata vicino al “Canton” nella “Contrada todesca”, dove era nato 40 anni prima. Probabilmente mai nessuno in città aveva sentito parlare del Celeste Impero, della dinastia Ming e in generale di quello che accadeva nell’estremo oriente: forse qualche mercante veneziano era arrivato fin qui portando tessuti e spezie, ma certamente l’arrivo di Martini segnava un grandissimo salto di qualità.
In Europa il gesuita trentino restò per cinque anni: un periodo di tempo utile per pubblicare presso tipografi olandesi le sue principali opere che rimangono una pietra miliare nelle relazioni tra Europa e il Celeste Impero nel XVII secolo. In particolare pubblicò ad Anversa il primo Atlante moderno della Cina, il “Novus Atlas Sinensis”.
Nella primavera del 1655 Martini raggiunse Roma, la parte più difficile del suo viaggio. Aveva portato con sé una lunga e dettagliata comunicazione dei missionari gesuiti in Cina, a difesa del loro approccio missionario e religioso, antesignano del dialogo interculturale: i cosiddetti Riti Cinesi (un approccio volto a consentite ai nuovi cristiani alcune pratiche tradizionali come la venerazione degli antenati, ed altre pratiche familiari). Questa apertura fu a lungo ostacolata dai domenicani e dai francescani
Ma a Roma Martini riuscì a convincere Papa Innocenzo X a rivedere la propria posizione (nel 1645 il papa aveva condannato la prassi missionaria dei gesuiti), confermata poi dal suo successore Alessandro VII. Martini poteva dirsi soddisfatto. E così di nuovo in mare per raggiungere Hangzhou: dopo 18 mesi di navigazione eccolo ritornare in Cina nel 1659. La sua morte precoce avvenuta due anni dopo nel 1661 all’età di soli 47 anni mise fine alla sua instancabile opera di cui però ancora rimangono i frutti.
Martino Martini è nato a Trento, una città di provincia che aveva perduto gli antichi fasti del periodo del Concilio, ma che ancora conservava una sua vivacità. Martini aveva potuto studiare al Collegio dei gesuiti, una delle più prestigiose istituzioni culturali di Trento.
A 18 anni si trasferì a Roma per continuare il percorso nella Compagnia di Gesù presso il Collegio romano: nel 1642, all’età di soli 28 anni, partiva per la Cina. Martini entrava così a far parte della seconda generazione dei missionari gesuiti dopo i pionieri Francesco Saverio, Matteo Ricci e Michele Ruggeri, partiti alla volta delle Indie Orientali per motivi di fede ma anche di ricerca culturale.
I gesuiti capirono ben presto che bisognava entrare nella mentalità cinese, comprendendo costumi e simbolismi molto lontani da quelli della tradizione europea. Occorreva imparare a stimare e a conoscere una civiltà millenaria.
Nel suo primo periodo di permanenza in Cina (1643-1651) Martini aveva come base la città costiera di Hangzhou, centro della missione dei gesuiti, ma girò per varie province sia per compiti pastorali sia per la sua attività scientifica, necessaria per la futura compilazione dell’Atlante.
Egli riuscì a districarsi in un delicatissimo periodo storico quello della “guerra tartarica” cioè del conflitto dinastico che portò alla fine della dinastia Ming, scalzata alla guida dell’impero dalla dinastia Qing proveniente dalla Manciuria.
Wei Kuangguo, il nome cinese con cui era conosciuto il missionario trentino, non fu solo geografo, ma anche storico, linguista, erudito. Martini, con la sua eloquenza e capacità, venne notato dalla Compagnia di Gesù che lo richiamò dalla Cina per recarsi a Roma per “difendere” davanti a una commissione voluta dal Papa l’approccio missionario dei gesuiti, che prevedeva apertura e tolleranza per quelli che erano chiamati “riti cinesi”. Erano soprattutto i domenicani a scagliarsi contro i gesuiti, a loro avviso rei di cedere alla superstizione e di tollerare la tradizione pagana legata a Confucio. Martini dunque doveva andare a Roma per chiarire la situazione.
Dopo un viaggio convulso durato due anni e una lunga permanenza nelle Fiandre, Martini stava per scendere in Italia: dal nord Europa occorreva assolutamente attraversare le Alpi. Così, nell’estate 1654, lo immaginiamo arrivare a Trento, governata allora dal Principe Vescovo Carlo Emanuele Madruzzo, ultimo rampollo di una dinastia che ha rappresentato l’epilogo della stagione più florida per la città, incominciata più di un secolo prima da Bernardo Clesio. Arrivava a Trento magari con una chiatta sull’Adige attraccata vicino al “Canton” nella “Contrada todesca”, dove era nato 40 anni prima. Probabilmente mai nessuno in città aveva sentito parlare del Celeste Impero, della dinastia Ming e in generale di quello che accadeva nell’estremo oriente: forse qualche mercante veneziano era arrivato fin qui portando tessuti e spezie, ma certamente l’arrivo di Martini segnava un grandissimo salto di qualità.
In Europa il gesuita trentino restò per cinque anni: un periodo di tempo utile per pubblicare presso tipografi olandesi le sue principali opere che rimangono una pietra miliare nelle relazioni tra Europa e il Celeste Impero nel XVII secolo. In particolare pubblicò ad Anversa il primo Atlante moderno della Cina, il “Novus Atlas Sinensis”.
Nella primavera del 1655 Martini raggiunse Roma, la parte più difficile del suo viaggio. Aveva portato con sé una lunga e dettagliata comunicazione dei missionari gesuiti in Cina, a difesa del loro approccio missionario e religioso, antesignano del dialogo interculturale: i cosiddetti Riti Cinesi (un approccio volto a consentite ai nuovi cristiani alcune pratiche tradizionali come la venerazione degli antenati, ed altre pratiche familiari). Questa apertura fu a lungo ostacolata dai domenicani e dai francescani
Ma a Roma Martini riuscì a convincere Papa Innocenzo X a rivedere la propria posizione (nel 1645 il papa aveva condannato la prassi missionaria dei gesuiti), confermata poi dal suo successore Alessandro VII. Martini poteva dirsi soddisfatto. E così di nuovo in mare per raggiungere Hangzhou: dopo 18 mesi di navigazione eccolo ritornare in Cina nel 1659. La sua morte precoce avvenuta due anni dopo nel 1661 all’età di soli 47 anni mise fine alla sua instancabile opera di cui però ancora rimangono i frutti.
Martini's grave in Hangzhou